Fasce di rispetto - Demolizione e nuova costruzione

05.03.2015 19:41

Corte di Cassazione Civile

sez. I 11 febbraio 2015 n. 2656
 

Svolgimento del processo

L'Anas conveniva in giudizio i signori F.F. e L. e ne chiedeva la condanna alla demolizione dei manufatti (un'autorimessa in cemento armato e tre pilastri) realizzati, a suo avviso, illegittimamente in aderenza al muro di sua proprietà posto a sostegno del corpo stradale al km. 171-180 della strada statale (omissis) , in violazione della distanza di venti metri dal confine stradale stabilita dagli artt. 18, comma 1, d. lgs. 30 aprile 1992 n. 285 e 28, comma 1, lett. b), d. lgs. 16 dicembre 1992 n. 495 per le strade urbane di scorrimento all'interno dei centri abitati e, in via incidentale, chiedeva di dichiarare illegittima la concessione edilizia. Costituitosi il contraddittorio con i convenuti, i quali deducevano che le opere realizzate erano il risultato di un intervento di recupero e ristrutturazione che non aveva comportato una sostanziale modifica del manufatto preesistente, il Tribunale di Forlì rigettava la domanda: riteneva che si trattasse di un intervento di ristrutturazione che era estraneo alla previsione normativa richiamata dall'Anas.
L'appello proposto dall'Anas è stato rigettato dalla Corte di appello di Bologna, con sentenza 27 luglio 2006.
La corte ha ritenuto che il manufatto realizzato consisteva in un'opera a distanza dal confine stradale inferiore a quella prevista dall'art. 28 citato, ma sostanzialmente sovrapponibile a quella da anni preesistente per caratteristiche strutturali, volumetriche e dimensionali; che la richiamata norma del codice della strada che imponeva il rispetto di distanze minime per le "ricostruzioni" doveva essere interpretata nel senso di limitarne l'applicazione agli interventi implicanti la realizzazione di un quid novi, cioè la realizzazione di un'opera diversa da quella preesistente; che di conseguenza, ai fini del rispetto delle norme del codice della strada sulle distanze, non integrano una "ricostruzione" gli interventi che comportino soltanto una "ristrutturazione edilizia", come era l'opera realizzata dai convenuti.
Avverso questa sentenza l'Anas ricorre per cassazione sulla base di tre motivi; i signori F. resistono con controricorso.

Motivi della decisione

Nel primo motivo l'Anas lamenta omessa pronuncia e vizio di motivazione sulla eccezione, formulata nell'atto di appello, di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La corte avrebbe omesso di valutare che il tribunale, avendo escluso l'esistenza di una "ricostruzione" ai fini della contestata violazione della norma del codice della strada sulle distanze, aveva erroneamente individuato il thema decidendum determinato dalle difese dei convenuti, i quali si erano limitati ad invocare l'usucapione della servitù avente ad oggetto il mantenimento della costruzione realizzata ad una distanza inferiore a quella legale, con la conseguenza che solo su di essa il primo giudice avrebbe dovuto pronunciarsi.
Il motivo è infondato. È sufficiente considerare che il thema decidendum posto dall'Arias all'attenzione del tribunale, che si è pronunciato, era l'accertamento della natura dell'intervento edilizio realizzato dai convenuti e la sua conformità alle norme sulle distanze di cui ai decreti legislativi n. 285 e 495 del 1992. Il dedotto vizio di omessa pronuncia è insussistente, essendosi la Corte di appello pronunciata nel merito, confermando la valutazione del primo giudice in senso contrario alla tesi dell'Arias che aveva dedotto la violazione di quelle norme.
Il secondo motivo, con il quale è dedotta la violazione degli artt. 18, comma 1, d. lgs. n. 285 del 1992 (codice della strada) e 28, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 495 del 1992 (regolamento di attuazione), si conclude con un quesito diretto a stabilire se il concetto di "ricostruzione" di cui alle suddette disposizioni consista esclusivamente negli interventi edilizi che comportano la realizzazione di un quid novi rispetto all'opera preesistente ovvero, come ritenuto dal ricorrente, includa anche la realizzazione di una costruzione sovrapponibile ad essa.
Il motivo è fondato.
La questione giuridica, che per la prima volta viene all'esame di questa Corte, riguarda l'interpretazione della nozione giuridica di "ricostruzioni", ai fini dell'applicazione delle norme del codice della strada e del relativo regolamento sulle distanze dal confine stradale all'interno dei centri abitati e, in particolare, se tale nozione debba essere interpretata in modo autonomo, facendo riferimento alla specifica ratio delle medesime norme, ovvero debba essere tratta dalla disciplina codicistica in tema di distanze nelle costruzioni (art. 873 c.c.).
La corte bolognese ha optato per la seconda soluzione, valorizzando la giurisprudenza (v. Cass., sez. un., n. 21578/2011; sez. II n. 3391/2009, n. 9637/2006, n. 23458/2004) che ha ravvisato una "ricostruzione" allorché dell'edificio preesistente siano venute meno a seguito di demolizione e poi fedelmente ripristinate le componenti essenziali, senza alcuna variazione di sagoma, volume e superficie: essa, in tal caso, non è assoggettabile al rispetto della distanza minima dal fabbricato vicino, mentre lo è in ipotesi di "nuova costruzione", come tale sottoposta alla disciplina prevista in tema di distanze dagli strumenti urbanistici locali, quando si verifichino le suddette variazioni. Di conseguenza, la nozione di "ricostruzione" sarebbe riferita esclusivamente agli interventi di demolizione e ricostruzione che consistano nella realizzazione di un'opera diversa, cioè difforme per volumetria e sagoma da quella preesistente, poiché altrimenti si tratterebbe di mera "ristrutturazione", in quanto tale estranea alla previsione del codice della strada sulle fasce di rispetto dal confine stradale. E ciò sarebbe convalidato sia dall'art. 3, comma 1, lett. d), del d. lgs. 6 giugno 2001 n. 380 (testo unico dell'edilizia) che, confermando l'indirizzo interpretativo riguardante l'art. 31, comma 1, lett. d), della legge 5 agosto 1978 n. 457 (contenente norme per l'edilizia residenziale), considera "ristrutturazione" anche gli interventi attuati mediante demolizione e successiva fedele ricostruzione del fabbricato, come appunto nel caso in esame, sia dalla giurisprudenza che valuta come "nuova costruzione" la demolizione seguita da successiva ricostruzione soltanto in caso di incremento volumetrico, con conseguente necessità di concessione edilizia, ravvisando altrimenti una mera "ristrutturazione" (v. Cons. Stato, sez. VI, n. 4568/2003).
Questa impostazione non è condivisibile.
Il ricorso all'analogia è consentito dall'art. 12, comma 2, delle preleggi solo quando manchi nell'ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (v. Cass. n. 9852/2002, n. 4754/1995). In particolare, l'analogia legis permette l'utilizzazione di norme che disciplinano casi simili o materie analoghe e abbiano lo stesso fondamento razionale, dalle quali sia possibile risalire al principio che le governa, al fine di farvi rientrare anche il caso da decidere non previsto dalla legge. In violazione di questo principio, la corte del merito erroneamente ha fatto ricorso all'analogia, avendo applicato i principi codicistici in tema di distanze nelle costruzioni in una materia, come quella delle costruzioni a confine dalla sede stradale, che è speciale ed esaustivamente governata dal codice della strada.
È decisiva la considerazione, che si ritrova nella giurisprudenza ordinaria e amministrativa, secondo la quale la fascia di rispetto stradale, disciplinata dall'art. 18 del d. lgs. n. 285/1992, in combinato disposto con l'art. 28, comma 1, del relativo regolamento, risponde all'esigenza di evitare possibili pregiudizi alla percorribilità delle strade e di assicurare l'incolumità non solo dei conducenti dei veicoli, ma anche della popolazione che risiede vicino alle strade, in linea con il divieto (art. 9 della legge 24 luglio 1961 n. 729) di costruire ad una distanza dalle opere autostradali inferiore a quella minima prevista, divieto interpretato come volto a favorire la circolazione e ad offrire idonee garanzie di sicurezza alle persone e cose che transitano sull'autostrada, con carattere generale ed inderogabile non solo nei confronti dei privati, ma anche nei riguardi della regolamentazione edilizia demandata agli enti pubblici (v. Cass., sez. II, n. 229/2007). Ulteriore argomento si desume dall'art. 879, comma 2, c.c. che esclude l'applicazione delle norme sulle distanze alle costruzioni "in confine con le piazze e le vie pubbliche", trovando applicazione le disposizioni di legge e regolamentari, come il codice della strada ed il relativo regolamento di esecuzione, le quali non sono dirette alla regolamentazione dei rapporti di vicinato ed alla tutela della proprietà (che costituisce la ratio delle norme sulle distanze tra fabbricati), ma alla protezione di interessi pubblici, con particolare riferimento alla sicurezza della circolazione stradale (v. Cass., sez. I, n. 5204/2008).
Anche l'analisi del testo normativo conduce a privilegiare la soluzione opposta a quella seguita dai giudici del merito. L'art. 18, comma 1, del codice della strada, prevedendo che nei centri abitati le fasce di rispetto a tutela delle strade, misurate dal confine stradale, "per le nuove costruzioni, ricostruzioni ed ampliamenti" non possono avere dimensioni inferiori a quelle indicate nel regolamento, fa riferimento non soltanto alle "nuove costruzioni", ma a qualsiasi ipotesi di "ricostruzione", seppure non comportante ampliamenti di superficie o volumetria. Ancor più chiaro è il regolamento di attuazione (d. lgs. n. 495/1992) il cui art. 28, comma 1, indica le distanze minime dal confine stradale da rispettare, all'interno dei centri abitati, nelle "demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade".
Ha osservato la Corte Costituzionale che fin dal 1865 la legge 20 Marzo n. 2248 All. F. sui lavori pubblici "onde favorire la circolazione ed offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze ovvero in queste abitano od operano", ha stabilito che per i fabbricati ed altre opere da farsi lungo le strade e fuori dai centri abitati, si sarebbero dovute osservare specifiche distanze misurate dal ciglio delle strade stesse. E tale divieto di costruzione è stato recepito in tutte le leggi successive a cominciare da quella urbanistica n. 1150 del 1942 (Corte Costit. 133/1971).
Analogamente, l'art. 9 della legge n. 729/1961, in tema di distacchi delle costruzioni dalla sede autostradale, dispone che "lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a..." ed è significativo che tale vincolo sia stato interpretato come divieto assoluto di costruire, che rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dall'accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale (v. Cass., sez. II, n. 2164/2005). Per cui tra la disciplina sulle distanze tra le costruzioni e la relativa finalità e quella limitatrice del regime dei beni immobili adiacenti alle opere pubbliche stradali (ed autostradali) non vi è identità; ed anzi le rispettive normative ne presuppongono la diversità, la quale si riverbera proprio in tema di "ricostruzione". Laddove la deroga al limite ed al conseguente divieto imposto dalla particolare disciplina dal codice della strada può giustificarsi soltanto nell'ipotesi in cui il fabbricato a distanza inferiore preesista all'opera stradale: per cui in caso di sua demolizione la questione della preesistenza viene meno e la ricostruzione - o nuova costruzione - comportando l'obiettivo insorgere o risorgere proprio di quel pericolo alla circolazione stradale che la norma ha inteso evitare, non possono che essere equiparate ad una nuova successiva costruzione di un fabbricato posto a distanza inferiore da quella consentita, che non giustifica deroga alcuna. Per queste ragioni non vale, infine, obiettare che alcuni interventi di "ricostruzione" (quelli non innovativi) si risolverebbero in mere "ristrutturazioni edilizie" che sarebbero estranee al campo applicativo degli artt. 18 del codice della strada e 28 del regolamento, il che escluderebbe l'ipotizzabilità di una nozione unitaria di "ricostruzione", giustificando l'interpretazione seguita nella sentenza impugnata. Infatti, è sufficiente considerare che se le menzionate disposizioni non contengono alcun riferimento alla nozione di "ristrutturazione edilizia", è perché la normativa speciale considera qualsiasi "ricostruzione" come soggetta alle distanze dal confine stradale, senza possibilità di escludere quegli interventi che il legislatore considera diversamente ad altri effetti (come le "ristrutturazioni" al cui concetto normativo le "ricostruzioni" appartengono: v. Cass., sez. II, n. 22688/2009).
In conclusione, con riguardo alle fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati e delle distanze delle costruzioni dal confine stradale, si deve ritenere che la nozione di "ricostruzione" non debba essere tratta analogicamente dalla normativa codicistica in tema di distanze, la cui ratio è la tutela della proprietà nei rapporti di vicinato, ma direttamente dal codice della strada (art. 18) e del regolamento di attuazione (art. 28) le cui norme sono volte ad assicurare l'incolumità dei conducenti dei veicoli e della popolazione che risiede vicino alle strade. Tali disposizioni si riferiscono a qualsiasi opera di "ricostruzione" che segua (verosimilmente ma non necessariamente) ad una demolizione e non soltanto alle "nuove costruzioni", nell'accezione elaborata dalla giurisprudenza in materia di distanze nelle costruzioni.
Al suddetto principio di diritto la Corte di appello di Bologna, cui la causa è rinviata, dovrà attenersi, essendo cassata la sentenza impugnata dall'Anas.
Alla medesima questione si riferisce il terzo motivo, che è però inammissibile, poiché privo del necessario momento di sintesi richiesto dall'art. 366 bis c.p.c. (applicabile nella fattispecieratione temporis) e adeguato alla tipologia di vizio motivazionale denunciato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il terzo; in accoglimento del secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

(Omissis)