IL REGOLAMENTO DELLE ENTRATE NEL 2016

16.02.2016 20:55

di Cristina Carpenedo

www.carpenedocristina.com


Il futuro della gestione dei tributi locali non è governato unicamente dalle disposizioni della legge di stabilità. Un passo importante è stato fatto nel 2015, con l'approvazione dei decreti attuativi della delega fiscale fondata su principi importanti che rispondono a garanzie difensive del contribuente, limitazione del contenzioso e facilitazione degli adempimenti dei contribuenti. Si assiste a un'importante rivisitazione degli istituti di difesa con l'estensione di nuove regole di dialogo con il contribuente, anche per il mondo degli enti locali. Alla luce di quanto accaduto fin qui, è inevitabile una rivisitazione delle norme che si trovano  nel regolamento generale delle entrate.

Analizzeremo in questa sede gli istituti che permeano la gestione dei tributi locali, rivisti dalle decisioni legislative e dagli orientamenti giurisprudenziali prevalenti. Ci sono norme che impongono il recepimento di strumenti e gestioni che abbisognano di regole per poter funzionare. Ne sono esempio la dilazione di pagamento per i tributi locali e la riscossione coattiva condotta con lo strumento dell'ingiunzione di pagamento.

La Legge n. 23/2014 (delega fiscale) getta le basi per una serie di importanti riforme. Tra i numerosi decreti che ha prodotto la delega, di particolare interesse sono le norme pubblicate nella gazzetta ufficiale 233 del 7 ottobre 2015.  I decreti legislativi che contengono dei risvolti operativi per i tributi locali, obbligando a delle modifiche sui regolamenti e sugli atti gestionali dei comuni sono il 156 e il 159 del 2015.

Il decreto legislativo 156 del 24 settembre 2015 contiene un'ampia riforma del contenzioso tributario ed estende al mondo dei tributi locali l'istituto dell'interpello e della mediazione oltre che a introdurre diverse modifiche al contenzioso tributario.

Il nuovo interpello negli enti locali.

Tra gli istituti che hanno interessato la Legge delega fiscale n. 23/2014, particolare rilievo ha assunto il restyling del diritto di interpello quale strumento di dialogo e reciproca collaborazione tra contribuenti e amministrazioni. L'istituto era già noto al mondo dei tributi locali, che aveva facoltà di recepirlo ai sensi dell'articolo 50 del d. lgs. 449/97,  ma non l'obbligo, ragion per cui non tutte le amministrazioni comunali l'avevano adottato.

Il nuovo d. lgs. 156/20015 opera un'importante rivisitazione dell'interpello nelle disposizioni comprese tra l'articolo 1 e 8 con obbligo  di adeguare i propri regolamenti entro il 30 giugno 2016, vale a dire sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto. Ne discende che l'interpello non è più una questione di recepimento facoltativo bensì trova applicazione nei tributi locali.

Il corpus normativo si compone:

  • Dell'articolo 11 della legge 212/2000 come riscritto dal suddetto decreto
  • Delle disposizioni comprese tra gli articoli 1 e 8 del d. lgs 156/2015
  • Del regolamento locale

Come ben illustrato dalla rivista telematica dell'Agenzia delle entrate www.fiscooggi.it il nuovo interpello si articola in tre tipologie: ordinario, probatorio e anti abuso. Ma non tutte le fattispecie sono applicabili agli enti locali. La disciplina del decreto deve essere adattata alle caratteristiche della fiscalità locale e questo significa che è molto importante per l'ente individuare la corretta applicazione delle norme in commento.

Interpello ordinario e qualificatorio. L'interpello che riguarda l'ente locale è quella indicato nella lettera a) dell'articolo 11 comma 1 che disciplina le due forme. L'interpello ordinario  riprende  quello già disciplinato dal vecchio testo dell'articolo 11, trattandosi di una richiesta volta a ottenere un parere quando sussistano obiettive condizioni di incertezza sull'interpretazione delle disposizioni tributarie, in relazione alla loro applicazione a casi concreti e personali. A questo modello generale va affiancato un nuovo prototipo di interpello che la relazione illustrativa definisce qualificatorio, caratterizzato per il maggior peso che assume la valutazione della fattispecie rispetto all'interpretazione delle norme di legge invocate dal contribuente nel caso concreto. Questa ipotesi differisce, infatti, da quella classica tradizionale perché l'istanza del contribuente verte non tanto sulla applicazione delle disposizioni quanto sulla corretta qualificazione delle fattispecie complesse  quando sussistano obiettive condizioni di incertezza alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime. La struttura tradizionale dell'interpello precludeva all'amministrazione di compiere, al momento della  risposta, valutazioni basate più sulle circostanze di fatto riferite alla fattispecie che non sulla interpretazione delle norme invocate.

La norma prevede una seconda tipologia, definita interpello probatorio, e si sostanzia in una richiesta tesa a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sull' idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell'accesso a un determinato regime fiscale.

Una terza categoria di interpelli  è l'interpello anti-abuso, per chiedere all'amministrazione se le operazioni che intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto, ai sensi del nuovo articolo 10-bis dello Statuto. Queste fattispecie non trovano applicazione nei tributi locali, compresa quella dell'abuso che non appare ancora estensibile ai tributi locali.

In cosa consiste. L'interpello è una richiesta che il contribuente rivolge all'amministrazione per conoscere l'interpretazione delle norme ai casi concreti. Si tratta di un istituto preventivo che va azionato prima che si verifichi un inadempimento.

Gli effetti. La risposta dell'amministrazione vincola le future azioni in ordine alla fattispecie che è stata oggetto di interpello e, in caso di mancata risposta entro novanta giorni, il silenzio equivale a condivisione della soluzione prospettata. Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell'istante.

L'istituto del reclamo e della mediazione.

Una delle novità di maggior rilievo frutto della delega fiscale 23/2014 è l'istituto del reclamo e della mediazione per i tributi locali. Il d. lgs. 156/2015, all'articolo 9 comma 1 lettera l), riscrive l'articolo 17 bis del d. lgs. 546/1992, con decorrenza dal 1.1.2016 estendendone l'applicazione a tutti i tributi, non solamente a quelli amministrati dall'Agenzia delle Entrate. L'istituto si compone di reclamo obbligatorio e mediazione facoltativa, per le cause di valore non superiore a 20.000 euro. L'Ifel con la nota di approfondimento del 18 dicembre 2015, ha analizzato le modifiche alla disciplina del contenzioso tributario compreso l'istituto del reclamo e mediazione. Anche l'Agenzia delle Entrate con circolare 38/E ha trattato la riforma del contenzioso tributario prodotta dal d. lgs 156/2015.

La norma di partenza che entrerà in vigore il 1 gennaio 2016 è l'articolo 17 bis del d. lgs 546/97 (processo tributario)

Si tratta di un rimedio preliminare al ricorso. E' uno strumento deflativo del contenzioso che agisce come un'istanza obbligatoria che anticipa il contenuto del ricorso, nel senso che, poiché il ricorso tiene luogo del reclamo, il contribuente chiede l'annullamento totale o parziale dell'atto sulla base degli stessi motivi di fatto e di diritto che intenderebbe portare all'attenzione della Commissione tributaria provinciale. E' una forma di autotutela obbligatoria che parte con il reclamo con facoltà del contribuente di inserire nell'istanza anche una proposta di mediazione.

 L'istituto agisce obbligatoriamente per controversie non superiori a 20.000 euro. Nel caso di reclamo cumulativo avverso più atti di accertamento, il valore va calcolato con riferimento ad ogni singolo atto e non alla sommatoria delle imposte di tutti gli atti.

Ai sensi del comma 2 dell'articolo 12 del d. lgs 546/92, per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato: in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Il termine controversie consente l'estensione dell'istituto a tutti gli atti impugnabili ai sensi del d. lgs. 546/92 emessi dall'ente impositore nonché, come indica il comma 6, anche gli atti di riscossione, come l'ingiunzione di pagamento o la cartella. Ma in tal caso gli elementi discutibili riguarderanno unicamente gli aspetti che possono essere ancora sollevati e non, ad esempio, un accertamento definitivo.

Esplicitamente il comma 9 estende l'articolo 17 bis agli agenti della riscossione e ai soggetti iscritti all'albo di cui all'articolo 53.

Operativamente la norma, come riscritta, prevede che il ricorso produce gli effetti di un reclamo, con la conseguenza che, in ogni caso, anche se non vi fosse una esplicita richiesta allegata, l'amministrazione deve valutare il ricorso come fosse un reclamo promosso in sede di autotutela. Si tratta di una versione normativa che sposta l'azione sull'ente che emette l'atto. Il ricorso potrebbe contenere anche una proposta di mediazione, ma non necessariamente. Il reclamo non è un atto diverso dal ricorso ma è il ricorso stesso che assume valore di reclamo. E' inammissibile depositare un ricorso diverso da quello presentato nella fase pre processuale del reclamo e nemmeno si possono integrare i motivi. Ogni ricorso è un reclamo e va trattato con un riscontro concreto. L'amministrazione non è costretta a mediare ma devono essere indicate le ragioni. Si apre così un vero e proprio procedimento amministrativo che, qualora fosse ignorato, produrrebbe delle conseguenze negative in sede di contenzioso e dal punto di vista delle responsabilità amministrative per non aver azionato un istituto di semplificazione del procedimento e risoluzione della controversia.

Il ricorso non è procedibile per novanta giorni, periodo entro il quale deve essere concluso il procedimento. Risulta inoltre sospesa la riscossione e il pagamento. Si applicano le disposizioni sui termini processuali. Il termine per la costituzione in giudizio decorre dopo i novanta giorni.

La normativa non impone di formalizzare all'ente il proprio diniego al reclamo o mediazione, tuttavia è opportuno adottare un provvedimento espresso con motivazione anche eventualmente invitando il contribuente al contraddittorio. Si tratta di un vero e proprio procedimento amministrativo che si consiglia di disciplinare.

Dalle disposizioni contenute nell'articolo 17 bis in commento, emerge che i comuni devono procedere all'individuazione della modalità di gestione del procedimento, fissando le competenze relative al riscontro da dare al reclamo o alla mediazione. Ai sensi del comma 4  Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, provvedono all'esame del reclamo e della proposta di mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili. Per gli altri enti impositori la disposizione di cui al periodo precedente si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa.

In linea di principio, tutte le volte in cui il funzionario sia un soggetto diverso dall'istruttore o dal responsabile del procedimento, potrà  valutare il reclamo o la mediazione. Poiché il valutatore "naturale" è il funzionario responsabile del tributo che ha adottato l'atto, per rispettare la regola della compatibilità, si consiglia di individuare all'interno dell'atto di accertamento o di altro atto impugnabile, un istruttore diverso dal soggetto che lo adotta. La norma non prevede che si adotti un atto per la nomina di un funzionario ad hoc, ma è possibile fissare delle regole per l'individuazione o definire delle strutture autonome.

Dal punto di vista regolamentare, benchè non sia obbligatorio, si consiglia di disciplinare l'attivazione e conclusione del procedimento instaurando un dialogo con il contribuente e definire la regola di individuazione del valutatore.

Le modifiche all'accertamento con adesione

L'istituto dell'accertamento con adesione è disciplinato dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 per i tributi amministrati dall'Agenzia delle Entrate. In via del tutto facoltativa, può essere introdotto dai comuni per i propri tributi mediante il ricorso alla potestà regolamentare che deve recepire l'istituto, anche con forme di adeguamento alla fiscalità locale. Per queste ragioni esistono comuni che lo applicano ed altri no.  Da questo punto di vista nulla è cambiato. Le modifiche che hanno riguardato l'accertamento con adesione intervengono su alcuni aspetti procedurali della norma.

La norma che ne consente l'utilizzo è l'articolo 50 della Legge 449/97, da applicare ai sensi dell'articolo 52 del d lgs 446/97.

Nell'esercizio della potestà regolamentare prevista in materia di  disciplina delle   proprie  entrate, anche tributarie, le province ed i comuni  possono prevedere specifiche disposizioni volte a semplificare e  razionalizzare il   procedimento di accertamento, anche al fine di ridurre gli adempimenti dei    contribuenti    e    potenziare  l'attività di controllo  sostanziale, introducendo    l'istituto    dell'accertamento  con adesione del  contribuente, sulla   base   dei  criteri stabiliti dal decreto legislativo 19  giugno 1997,   n.218,   nonché la possibilità di riduzione delle sanzioni in  conformità con   i principi desumibili dall'articolo 3, comma 133, lettera b,  della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in quanto compatibili.

Il ricorso all'accertamento con adesione presuppone l'esistenza di materia concordabile, di elementi suscettibili di apprezzamento valutativo. Esulano pertanto dal campo di applicazione dell'istituto le questioni di diritto e tutte le fattispecie nelle quali l'obbligazione tributaria è determinabile sulla base di elementi certi, determinati o obiettivamente determinabili (atti di liquidazione). La competenza alla gestione della procedura di accertamento con adesione è naturalmente affidata al Funzionario responsabile del tributo che presiede all'intero procedimento.

Il d lgs 218/97 disciplina sia l'ipotesi dell'iniziativa d'ufficio nel senso che, ai sensi dell'articolo 5 del decreto, l'Agenzia emette un invito a comparire, sia l'iniziativa del contribuente nei confronti dei quali sia cominciata un'attività di verifica o abbia ricevuto un avviso di accertamento. Per effetto di recenti modifiche che hanno riguardato l'articolo 5, si trova in fase di eliminazione fissata al 31.12.2016 la possibilità associata all'iniziativa d'ufficio di prestare adesione ai contenuti dell'invito con versamento delle somme dovute entro il quindicesimo giorno antecedente la data di comparizione e sanzioni ulteriormente ridotte della metà. I regolamenti che riportano questa procedura dovranno tenerne conto.

In sede di recepimento dell'istituto è possibile adeguare le singole fasi anche rinunciando ad alcune di esse, ad esempio lasciando unicamente quella che si basa sull'istanza del contribuente presentata sull'atto di accertamento. Per la stessa ragione, si sta facendo strada l'idea di escludere l'accertamento con adesione per gli atti che rientrano nel  nuovo istituto del reclamo e mediazione, tenuto conto che entrambi prevedono una sospensione dei termini per novanta giorni e attivano un confronto tra le parti. Resta tuttavia da considerare che sono istituti molto diversi che si consiglia di mantenere.

Il raggiungimento o meno dell'accordo avviene in contraddittorio.  Se le parti raggiungono un accordo, i contenuti dello stesso vengono riportati su un atto di adesione che va sottoscritto da entrambe le parti. L'intera procedura si perfeziona soltanto con il pagamento delle somme risultanti dall'accordo stesso. Solo così, infatti, si può ritenere definito il rapporto tributario. Se non si raggiunge un accordo, il contribuente può sempre presentare ricorso al giudice tributario contro l'atto già emesso (o che sarà in seguito emesso) dall'ufficio.

Dalla data di presentazione della domanda di accertamento con adesione i termini restano sospesi per un periodo di 90 giorni, sia per un eventuale ricorso, sia per il pagamento delle imposte accertate. Anche il recupero coattivo delle imposte accertate dall'ufficio è effettuata, ricorrendone i presupposti, dopo la scadenza del termine di sospensione. Al termine di questo arco di tempo, il contribuente, se non ha raggiunto l'accordo con l'Amministrazione, può impugnare l'atto ricevuto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. Non sono in ogni caso modificabili i termini imposti dalla norma.

La dilazione di pagamento nei tributi locali

La dilazione a rate è una modalità di adempimento dell'obbligazione di pagamento consistente nel concedere un periodo di tempo più lungo rispetto a una determina scadenza. Dal punto di vista giuridico, non esiste un codificato diritto alla dilazione per i tributi locali. Le continue modifiche normative che spesso leggiamo sulla stampa attengono alla dilazione su cartella di pagamento, prevista dall'articolo 19 del dpr 602/73 (cosiddetta dilazione Equitalia). Nell'ambito dei tributi locali non è invece ravvisabile una disciplina specifica. Il vuoto normativo, che non è stato colmato nemmeno dai decreti di attuazione della delega fiscale, comportano la necessità di delineare delle regole guida per definire il rilascio della dilazione considerando, da un lato, le esigenze di tutela dell'interesse del debitore e, dall'altro, le esigenze di incasso della pubblica amministrazione che, in tal modo, si realizzano più tardivamente.

La sede sovrana per la disciplina della dilazione è il regolamento generale delle entrate, anche se nulla vieta che si possa agire con un regolamento specifico o all'interno dei regolamenti delle singole entrate.