Infortunistica stradale: svolta su altra carreggiata. Responsabilità

03.10.2013 09:32

Corte di Cassazione Penale sez. IV 29 gennaio 2013 n. 4518
 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.C. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d'Appello di Catanzaro di conferma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 20.02.2009 dal Tribunale dello stesso capoluogo in ordine al delitto di cui all'art. 589 c.p., comma 2 aggravato dalla violazione delle leggi sulla disciplina stradale.

In breve il fatto per una migliore intelligenza dei motivi del ricorso.

La sentenza di primo grado ricostruiva l'incidente stradale avvenuto il (OMISSIS), intorno alle ore 19,15 lungo la (OMISSIS), località (OMISSIS): nel mentre la M., alla guida della sua autovettura, eseguiva una manovra di svolta a sinistra, sopraggiungeva, dalla direzione opposta, la moto condotta da C.G., che, alla vista dell'autovettura, azionava i freni lasciando una traccia di frenata di 28,10 metri.

La moto era poi caduta lasciando una traccia di scarrocciamento di 9,20 metri andando a collidere con la vettura condotta dall'imputata, rimbalzando e superando altro veicolo. Il corpo del motociclista si era frapposto tra i due mezzi rimanendo schiacciato.

Dai rilievi eseguiti era emerso che la moto viaggiava a velocità elevata, se non elevatissima e comunque superiore al limite di 50 km/h esistente sul tratto di strada percorso.

Ulteriori profili di colpa nella condotta del C. venivano ravvisati nel fatto che lo stesso, al momento del sinistro, percorreva una strada molto trafficata, in un centro abitato e con una elevata densità di attività commerciali.

Il giudicante utilizzava, inoltre, i dati della consulenza tecnica effettuata in ordine alla dinamica dell'incidente aderendo alle conclusioni esposte dall'ausiliario.

Determinava la velocità della vettura, al momento dell'impatto, in circa 10 km/h e quella della moto in circa 150 km/h.

Affermava, altresì, in linea con quanto accertato dal consulente, che la M., al momento in cui stava apprestandosi ad eseguire la manovra di svolta, poteva vedere il sopraggiungere della moto anche se non era in grado di valutarne la velocità "avendo una visuale piatta a cagione della strada rettilinea".

Pertanto, non potendo determinare la velocità della moto, secondo il giudicante, l'imputata avrebbe dovuto astenersi dal compiere una qualsiasi manovra rimanendo ferma in attesa che il veicolo transitasse intraprendendo la svolta solo quando la corsia opposta sarebbe stata sgombra. La Corte d'Appello, nel rigettare il gravame proposto dall'imputata ha fatto proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado. Con un unico motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica disposta dal P.M. sulla dinamica del sinistro. Si argomenta che viene del tutto tralasciata la versione della difesa circa la dinamica dell'incidente e, quindi, il fatto che il sinistro è stato fondamentalmente causato dalla incosciente condotta di guida della persona offesa. Dalla M. nella situazione concretizzatasi per colpa de conducente della moto, non era esigibile un comportamento alternativo rispetto a quello effettivamente posto in essere.

La Corte, come già il Tribunale, non ha tenuto conto di dati emersi dall'istruttoria dibattimentale tra i quali le precisazioni rese dal consulente, tra cui la effettiva velocità tenuta dal motociclista di ben 198 Km/h ed il tempo impiegato dall'auto dell'imputata per attraversare la corsia di marca sulla quale procedeva la moto (4 secondi) è indicata sulla scorta dei dati di fatto obiettivi che contraddicono sul punto l'ausiliario del P.M.. Atteso, dunque, che la velocità del motociclo è di gran lunga superiore a quella considerata dai giudici, è assolutamente plausibile che la ricorrente non abbia potuto vedere il motociclo nel momento in cui cominciava la manovra di svolta. Tutti questi dati non sono stati considerati dalla Corte distrettuale che si è trincerata dietro le conclusioni del consulente senza alcuna valutazione critica. Critiche che, invece, erano specificamente contenute nell'atto di appello. Il Consulente asserisce che la velocità della moto non poteva essere "particolarmente eccessiva" altrimenti nell'affrontare la curva per poi immettersi sul rettilineo ove è avvenuto l'incidente, sarebbe uscito di strada. Si osserva , a prescindere dall'indeterminatezza della locuzione "particolarmente eccessiva", la Corte avrebbe dovuto spiegare, posto che il perito non lo ha fatto, perchè la moto avrebbe potuto percorrere la curva a 150 Km/h e non a 180. Ancora del tutto sganciata dall'esperienza comune è il rilievo del consulente secondo il quale le tracce rinvenute sulla sede stradale coinciderebbero con l'inizio della frenata, quando è dato di esperienza che, in caso di frenata violenta, la ruota posteriore di una moto si stacca da terra e non lascia tracce sull'asfalto. Ciò significa che è assolutamente plausibile che la frenata sia iniziata prima del segno riscontrato con conseguente erroneità sulla velocità tenuta dalla moto calcolata dal perito.

Si censura, altresì, la parte della motivazione che riguarda l'affidamento che la M. poteva riporre nella condotta di guida della motociclista. Si evidenzia che, anche a voler dare per buona la ricostruzione del perito, quest'ultimo afferma che la M. non potesse valutare la velocità del motociclo. Invero, l'imputata avrebbe ben potuto confidare che la moto rispettasse i limiti di velocità imposti o che, quantomeno, non li superasse di almeno il triplo.

Motivi della decisione

Il motivo esposto non è consentito in sede di legittimità per cui il ricorso va dichiarato inammissibile.

E' indubbio, infatti, che si ripropone una ricostruzione diversa del fatto anche con riferimento ad una rivisitazione delle risultanze probatorie, ed, in particolare, con la confutazione delle conclusioni cui è pervenuto il consulente del P.M. circa la dinamica dell'incidente con riguardo alla velocità mantenuta dalla motocicletta al momento dell'impatto, determinata in 150 Kmh.

Sul punto si osserva che la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poichè si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Cass. sez. 4 20 maggio 1989 n. 7591 rv.181382).

Orbene, la Corte territoriale, valutando lo specifico motivo di appello avente ad oggetto la censura delle conclusioni cui è pervenuto il consulente del P.M. operata dalla difesa dell'imputato anche sulla base della documentazione costituita da articoli di stampa specializzata, non si è limitata a recepire acriticamente la ricostruzione del sinistro stradale proposta dall'ausiliario ma ne ha ritenuta la validità scientifica confrontandola con dati di fatto oggettivamente desumibili dalle carte processuali.

Per altro la Corte ha evidenziato, con ragionamento logico ineccepibile, che il dato relativo alla velocità massima raggiungibile dalla moto costituisce elemento neutro, privo di specifica rilevanza ai fini della decisione.

Dunque, il vizio dedotto dal ricorrente non è riconducibile al cd."travisamento della prova" perchè, con il proposto ricorso, si pone il problema dell'individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l'idoneità delle prove acquisite a giustificare un'affermazione di responsabilità penale. Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro probatorio ormai "fotografato" con la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito che è inammissibile in questa sede.

Compito del giudice di legittimità non è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da quanto compiuto dal giudice di merito ma di sindacare la correttezza del ragionamento di questi sulla valutazione relativa alla efficacia probatoria dei fatti accertati. Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l'utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili.

E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili).

Per il caso di specie, la Corte d'Appello ha, invero, indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, confutando, in maniera analitica, astrattamente persuasiva e scevra da vizi logici, la diversa valutazione delle risultanze istruttorie prospettata dalla difesa.

Il caso in esame, per altro verso, in ragione del concomitante evidente comportamento di guida colposo della persona offesa, come ritenuto nella sentenza impugnata, propone una complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative e prospettata dalla ricorrente. In breve, si tratta di stabilire se il principio di affidamento trovi applicazione nell'ambito dei reati colposi commessi a seguito di violazione di norme sulla circolazione stradale. Il principio di affidamento costituisce applicazione del principio del rischio consentito: dover continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui. Al contrario, l'affidamento è in linea con la diffusa divisione e specializzazione dei compiti ed assicura il migliore adempimento delle prestazioni a ciascuno richieste.

Nell'ambito della circolazione stradale esso assicura la regolarità della circolazione, evitando l'effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze. Il principio, d'altra parte, si connette pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l'obbligo di rapportarsi alle altrui condotte: esso è stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicità colposa.

Pacificamente, la possibilità di fare affidamento sull'altrui diligenza viene meno quando l'agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività.

La tendenza della giurisprudenza di legittimità è quella di escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull'altrui correttezza. Si afferma, così, che, poichè le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sè condotta negligente. In conseguenza, è stata confermata l'affermazione di responsabilità in un caso in cui la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l'auto in prossimità dell'incrocio a velocità moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l'autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all'obbligo di concedere la precedenza (Da ultimo Cass. 4, 28 marzo 1996, Rv.204451). Su tali basi si è affermato, ad esempio, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l'automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell'attraversamento (Cass. 4, 1.8 ottobre 2000, Rv.218473); e che l'obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente (Cass. 4, 19 giugno 1987, Rv. 176415).

In qualche caso a tale ampia configurazione della responsabilità è stato opposto il limite della imprevedibilità (Cass. 4, 24 settembre 2008 Rv. 241476), che talvolta si richiede sia assoluta (Cass. 4, 3 giugno 2008 Rv. 241004). L'obbligo di moderare adeguatamente la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza, ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella normale prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa (Cass. 4, 8 marzo 1983, Rv.

158790). Si tratta allora di comprendere se l'atteggiamento rigorista abbia una giustificazione o debba essere invece temperato con l'introduzione, entro limiti ben definiti, del principio di affidamento.

Senza dubbio quello della circolazione stradale è un contesto meno definito di quello del lavoro in equipe (con riferimento alla colpa professionale dei medici), ove il principio in parola trova pacifica applicazione. Si configura, infatti, un'impersonale, intensa interazione che mostra frequenti violazioni delle regole di prudenza.

D'altra parte, il codice della strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l'obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari.

Ad esempio, l'art. 141 impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza; e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni "ostacolo prevedibile". L'art. 145 pone la regola della "massima prudenza" nell'impegnare un incrocio. L'art. 191 prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque già iniziato l'attraversamento della carreggiata. Tali norme tratteggiano obblighi di vasta portata, che riguardano anche la gestione del rischio connesso alle altrui condotte imprudenti.

D'altra parte, come si è accennato, le condotte imprudenti nell'ambito della circolazione stradale sono tanto frequenti che esse costituiscono un rischio tipico, prevedibile, da governare nei limiti del possibile. Tali norme, tuttavia, non possono essere lette in modo tanto estremo da enucleare l'obbligo generale di prevedere e governare sempre e comunque il rischio da altrui attività illecita;

vi sono aspetti della circolazione stradale che per forza implicano un razionale affidamento: di fronte ad una strada il cui il senso di circolazione sia regolato non si può pretendere che l'automobilista si paralizzi nel timore che alcuno possa non attenersi a tale disciplina. Insomma, un'istanza di sensatezza del sistema e di equità induce con immediatezza a cogliere che il principio di affidamento debba essere in qualche guisa riconosciuto nell'ambito della circolazione stradale. La soluzione contraria non solo sarebbe irrealistica, ma condurrebbe a risultati non conformi al principio di personalità della responsabilità, prescrivendo obblighi talvolta inesigibili e votando l'utente della strada al destino del colpevole per definizione o, se si vuole, del capro espiatorio.

Nè può esercitare un'influenza contraria (come sembra ritenere il ricorrente) il fatto che gli altrui comportamenti imprudenti siano tanto gravi quanto diffusi, lui come quello di ciclomotoristi che sorpassano sulla destra audacemente veicoli fermi o che procedono ad elevata velocità. Un tale approccio condurrebbe, addirittura, ad un effetto paradossale: quello di svuotare la forza cogente della disciplina positiva e di generare un patologico affidamento inverso da parte dell'agente indisciplinato sulla altrui attenzione anche nel prevedere le proprie audaci intemperanze comportamentali.

Per tentare di definire la concreta portata del principio nell'ambito della circolazione occorre considerare che i contesti fattuali possibili sono assolutamente indeterminati; e non è quindi realistico che l'affidamento concorra a definire i modelli di agenti, le sfere di rischio e di responsabilità in modo categoriale, come invece accade nel ben più definito contesto del lavoro in equipe e, entro confini peraltro assai limitati, nell'ambito della sicurezza del lavoro.

Anche nell'ambito della circolazione stradale che qui interessa, è stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro: la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto (Cass. 4, 25 ottobre 1990, Rv. 185559; Cass. 4, 9 maggio 1983, Rv. 159688; Cass. 5, 2 febbraio 1978, Rv. 139204). Tali enunciazioni generali abbisognano di un ulteriore chiarimento, già del resto ripetutamente proposto di recente da questa Corte (Cass. 4, 06 luglio 2007, Rv. 237050; Cass. 4, 7 febbraio 2008, Rv. 239258): l'esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poichè in tale ambito la prevedibilità dell'evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata; ma anche nell'ambito della colpa specifica la prevedibilità vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma rileva pure in relazione al profilo squisitamente soggettivo, al rimprovero personale, imponendo un'indagine rapportata alle diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto. Certamente tale spazio valutativo è pressochè nudo nell'ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dell'agente modello. Non può essere escluso del tutto che contingenze particolari possano rendere la condotta inosservante non soggettivamente rimproverabile a causa, ad esempio, della imprevedibilità della condotta di guida dell'altro soggetto coinvolto nel sinistro. Tuttavia, tale ponderazione non può essere meramente ipotetica, congetturale, ma deve di necessità fondarsi su emergenze concrete e risolutive, onde evitare che l'apprezzamento in ordine alla colpa sia tutto affidato all'imponderabile soggettivismo del giudice.

L'esigenza di una indagine concreta, si è pure affermato dalla giurisprudenza da ultimo indicata, non viene meno neppure quando, come nella circolazione stradale, la condotta inosservante di altri soggetti non costituisce in sè una contingenza imprevedibile, si è chiarito che lo spazio per l'apprezzamento che giunga a ritenere imprevedibile la condotta di guida inosservante dell'altro conducente è ristretto e va percorso con particolare cautela. Ciò nonostante, l'esigenza di preservare la già evocata dimensione soggettiva della colpa (id est la concreta rimproverabilità della condotta) ha condotto questa Corte ad enunciare che, come si è prima esposto, le particolarità del caso concreto possono dar corpo ad una condotta realmente imprevedibile. A tali principi si ispira la sentenza impugnata quando, nell'esaminare il caso, evoca la ragionevole prevedibilità e la rapporta, con implicita evidenza, alle particolarità del caso concreto. L'imputata aveva avviato la manovra di svolta a sinistra, in una strada particolarmente frequentata e per di più rettilinea in quel tratto e con buona visibilità, tanto, come evidenzia la Corte del merito, rifacendosi alle conclusioni dell'ausiliario, da potersi rendere conto del sopraggiungere di veicoli dalla direzione opposta: l'accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito non può essere qui posto in discussione. La M., pur agendo nel rispetto del codice della strada, mantenendo una velocità molto bassa (10 Km/h) per svoltare a sinistra, non ha ben valutato, negligentemente, l'alta velocità del motociclista che raggiungeva in senso opposto di marcia e, quindi, anzichè fermarsi ed evitare lo scontro, ha fidato nelle sue capacità di prontezza di riflessi di attraversare immediatamente la carreggiata che stava già impegnando.

In tale situazione di fatto appare adeguatamente supportato il giudizio di "ragionevole prevedibilità" della condotta di guida della vittima. La Corte distrettuale ha ravvisato una situazione di pericolo, determinata dal cambiamento di direzione per svoltare a sinistra, che esigeva da parte della conducente la massima prudenza e l'adozione di tutte cautele, al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza della circolazione. La M. avrebbe dovuto accertarsi con ogni mezzo che non sopraggiungessero altri veicoli e tale ispezione doveva proseguire per tutte le fasi della manovra.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della cassa delle ammende.