Sinistro con lesioni con veicolo di servizio: a rischio la patente "civile"

09.10.2013 18:11

Corte di Cassazione Penale sez. IV 21 gennaio 2013 n. 3119
 

(Omissis)
Con sentenza in data 16 aprile 2010, il GIP del Tribunale di Firenze, in esito a giudizio abbreviato, dichiarava omissis responsabile del delitto p. e p. dagli artt. 589, commi 1, 2 e 4, 590, 1 e 3 comma, cp commesso in Firenze in danno di omissis (deceduta a seguito del sinistro stradale cagionato dall'imputato) e di omissis (che, nello stesso occorso, riportava lesioni personali cui conseguiva malattia di durata superiore a giorni 40) condannandolo, con la diminuente del rito, alla pena di anni due e mesi 8 di reclusione nonché, in solido con il responsabile civile costituito FONDIARIA - SAI s.p.a., al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, eccezion fatta per le provvisionali, alle stesse accordate in ragione dei rispettivi importi.

Si era acclarato in punto di fatto, in conformità al capo d'accusa, che il grave incidente stradale si era verificato in conseguenza della collisione, avvenuta in Firenze, all'incrocio omissis tra la omissis - autovettura di servizio della Polizia Municipale di Firenze priva dei colori di istituto, condotta dall'imputato (in qualità di appartenente a detto corpo) - ed il ciclomotore omissis condotto da omissis sul quale era trasportata omissis . L'automobile - che sopraggiungeva da via omissis con direzione di piazza omissis - ebbe ad impegnare l'intersezione regolata da impianto semaforico in funzione, nonostante che lo stesso proiettasse luce rossa, senza ché risultassero comunque udibili e visibili i dispositivi acustici e visivi di cui disponeva l'autocivetta della Polizia Municipale. Il motociclo - che proveniva, alla sua destra, da via omissis con direzione di via omissis - fruiva invece del diritto di precedenza, attesa la luce verde, emessa in quel momento nella sua direzione. L'automobile - che, al pari del motoveicolo, non ebbe a lasciare alcuna traccia di frenata né altri indizi idonei a far supporre l’incipit di una manovra diversiva - procedeva, al momento della collisione, ad una velocità compresa tra i 15 ed i 20 km/orari; lo scooter, ad una velocità compresa tra i 55 ed i 60 km/orari. Pochi secondi prima dell'urto, l'incrocio era stato attraversato - indenne - da altro motociclo proveniente sempre da via omissis, condotto da omissis che pur ebbe a notare la Fiat Punto, mentre era in procinto di impegnare l'incrocio. Il Giudice di prime cure aveva ritenuto comprovata la penale responsabilità dell'imputato che, per grave negligenza ed imprudenza - peraltro violando "i doveri funzionali relativi alla qualifica di pubblico ufficiale rivestita" – aveva oltrepassato l'incrocio, benché il semaforo proiettasse luce rossa, dopo aver azionato i dispositivi di emergenza dell'auto - civetta, in difetto della ricorrenza delle condizioni di urgenza previste dall'art. 177 cds (dovendo unicamente trasportare una cittadina straniero in Questura per l'identificazione) e senza essersi preventivamente accertato che gli stessi fossero in perfetta efficienza di guisa che non tutti gli altri utenti della strada sarebbero stati in grado di comprendere che il veicolo avrebbe impegnato l'incrocio, esigendo la precedenza assoluta.

Ha inoltre lo stesso Giudice di prime cure escluso che la vittima: omissis fosse priva del casco, al momento dell'impatto e che la velocità del ciclomotore, benché superiore a 50 km/orari, costituisse concausa degli eventi lesivi. La Corte d'appello di Firenze, per quanto in questa sede rileva, con sentenza 31 marzo 2011 confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza propongono distinti ricorsi per cassazione, l'imputato ed il responsabile civile, per tramite dei rispettivi difensori. L'imputato propone altresì ulteriore ricorso (rectius: motivi aggiunti), con separato atto a firma anche dell'avv. omissis, depositato nella stessa data del ricorso principale.

La difesa dell'imputato articola quattro distinti motivi.

Con la prima doglianza, censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in punto all'esclusione del concorso di colpa delle persone offese, avuto riguardo, in particolare, alla velocità eccessiva alla quale il omissis, quale conducente del motociclo sul quale era trasportata la vittima, aveva oltrepassato l'incrocio. La Corte distrettuale sarebbe incorsa in un vero e proprio travisamento della prova, ad avviso del ricorrente, per giungere a ritenere l'inevitabilità della collisione, a qualsiasi velocità avesse proceduto il predetto motoveicolo, benché né il omissis né altro teste avessero in verità affermato che l'attraversamento dell'incrocio era avvenuto quasi in sincronia, da parte dei due motocicli. Né i Giudici d'appello, secondo il ricorrente, avrebbero considerato (recependo acriticamente la tesi sostenuta dal consulente del P.M.) che la corresponsabilità del omissis non discendeva tanto dal rispetto o meno del limite di velocità imposto nei centri urbani (50 km./orari), bensì dalla violazione degli artt. 141 e 145 cod. strada che impongono ai conducenti dei veicoli in fase di avvicinamento e poi di attraversamento di un'intersezione stradale, di adeguare la velocità al fine di evitare incidenti, tantopiù se in orario notturno ed in caso di scarsa visibilità; ciò anche qualora godano del diritto di precedenza. Incorrendo negli stessi vizi nonché nel travisamento della prova, la Corte distrettuale avrebbe altresì omesso di tener conto che la circostanza di non aver correttamente indossato il casco al momento della collisione - come ampiamente argomentato dalla difesa dell'imputato con i motivi d'appello - valeva ad integrare il rilevante concorso di colpa della giovane trasportata, nella causazione del proprio decesso.

Con il secondo motivo,, denunzia il ricorrente la violazione degli artt. 589, comma 4, 590, 133 cod.pen. e 52 dlgs n. 274 del 2000 nonché il difetto di motivazione per avere la Corte d'appello confermato, anche in punto al trattamento sanzionatorio, la pronunzia di primo grado con la quale, in dispregio al disposto degli artt. 4 e 52, comma 2 lett. a) del D.l.vo n. 274/2000, si è proceduto ad irrogare all'imputato, ex art. 589, comma 4 cp la pena della reclusione anche per il delitto di lesioni colpose aggravate, punito invece con la sola pena della multa compresa tra Euro 258 ad Euro 2.582,00,trattandosi di reato ricompreso nella competenza per materia del Giudice di pace. Ad avviso del ricorrente, posto che il reato di omicidio colposo - più grave agli effetti del ritenuto concorso formale - risulta punito con la sola pena della reclusione, agli effetti dell'applicazione del previsto aumento della pena, avrebbe dovuto farsi riferimento ai criteri di ragguaglio di cui all'art. 135 cod. pen.. Di talché, convertita la pena della multa di Euro 2.582,00 Euro in quella detentiva sulla base di Euro 250,00 pro/die, l'aumento della pena non avrebbe potuto superare giorni undici di reclusione, integrando invece profili di illegittimità costituzionale della norma, l'aumento della pena in concreto determinato in un anno di reclusione ovverosia in misura pari al massimo edittale previsto per il reato di cui all'art. 590, commi 1 e 3 cod. pen., per di più applicato, nel caso di specie, in conseguenza dell'accidentale evenienza della trattazione congiunta dei procedimenti relativi ai delitti di omicidio colposo e di lesioni colpose, commessi in concorso formale.
Con la terza doglianza, lamenta il ricorrente vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione anche in riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, alla determinazione della pena base in misura sproporzionata per eccesso (anni tre di reclusione) quale conseguenza dell'erronea esclusione del concorso di colpa delle persone offese, posta anche la dubbia compatibilità, quanto ai reati colposi, dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 cod. pen., ritenuta contestata "in fatto". Come diffusamente argomentato con l'ulteriore ricorso proposto (rectius: motivi aggiunti), sostiene il ricorrente che l'abuso dei poteri e la violazione dei doveri contestati all'imputato non sarebbero suscettibili di una duplice valutazione, già integrando la violazione di precise norme cautelari gli estremi della colpa specifica contestata all'imputato. Né l’aggravante potrebbe contestarsi sotto il distinto profilo della violazione dell'art. 177, comma 2 cod. strada per l'omesso impiego congiunto dei dispositivi di emergenza acustico e luminoso da cui unicamente consegue la mancata applicazione della speciale scriminante prevista dalla stessa disposizione normativa. Denunzia altresì il difensore la violazione dell'art. 606, comma 1 lett. a) cod. proc.pen. per aver esercitato la Corte d'appello (confermando le argomentazioni della sentenza di primo grado sul punto) una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi laddove ha rilevato la violazione dell'art. 177 cod. strada, per mancanza del presupposto dell'urgenza.
In relazione all'esigenza di condurre sollecitamente una prostituta in Questura per l'identificazione.
Con il quarto motivo di ricorso, denunzia la difesa la violazione dell'art. 222, comma 2 cod. strada. Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, a norma dell'art. 7, comma 3 D.M. 11 agosto 2004 n. 246, in caso di violazioni di norme del codice della strada commesse da titolare di patente di servizio alla guida di automobile di servizio, in occasione di attività d'istituto, la possibilità di applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di cui all'art. 222, comma 2 cod. strada deve esser limitata a detta patente di servizio, con esclusione di quella ordinaria.
Con distinto ricorso, il responsabile civile FONDIARIA - SAI s.p.a., si duole, con un unico motivo, del difetto e/o della manifesta illogicità della motivazione della sentenza d'appello in punto all'esclusione del concorso di colpa delle persone offese. L'esame corretto e logico degli elementi di fatto (ed in particolare della circostanza del passaggio in immediata successione dei due ciclomotori nello stesso incrocio) avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello ad affermare che diverso e meno grave sarebbe stato l'evento, ove il motoveicolo condotto dal C. avesse mantenuto una velocità ridotta o comunque adeguata ai luoghi. Negli stessi vizi di ordine motivazionale sarebbero incorsi i Giudici di secondo grado, ad avviso del responsabile civile,per avere del pari escluso il concorso di colpa della trasportata - che ebbe ad indossare irregolarmente il casco - facendo riferimento ad argomentazioni del tutto suggestive prive di qualsivoglia relazione con le reali emergenze di fatto.

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati e devono quindi esser respinti con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico dei ricorrenti, ex art. 616 cod. proc. pen., tenuti altresì, in nome del principio della soccombenza, alla rifusione in solido, in favore delle parti civili costituite, delle spese di questo giudizio, come alle stesse rispettivamente liquidate in dispositivo.
Il primo motivo del ricorso proposto dall'imputato e l'unico motivo dedotto dal responsabile civile (da trattarsi congiuntamente siccome relativi al medesimo vizio motivazionale) sono inammissibili.
Il ricorrente, a contestazione dell'esclusione del concorso di colpa delle persone offese, deducono censure invero non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la [ri]valutazione del fatto, nonché l'apprezzamento del materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito, quanto all'accertamento sia della velocità cui procedeva il C. al momento della collisione con l'autovettura guidata dall'imputato sia del fatto che la vittima calzasse regolarmente il casco, in quello stesso momento. In proposito va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite (cfr. S. U., N.6402/97, imp. omissis ed altri, rv 207944; S. U., rie. omissis, 24/11/1999, rv. 214793), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa - e per il ricorrente più adeguata - valutazione delle risultanze processuali. Con riguardo alla specifica materia della circolazione stradale, è stato enunciato - e più volte ribadito - dalla giurisprudenza di legittimità il principio di diritto secondo il quale "la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia in ordine alla valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti nell'accertamento delle relative responsabilità e nella determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione" (in tal senso, tra le tante, Sez. IV, n. 87/90, imp. omissis, rv. 182960).
Come altresì statuito da questa stessa Sezione IV con la sentenza n. 11522 del 2004 in conformità ad orientamento della giurisprudenza di legittimità consolidatosi nel tempo (cfr. Sez. 5 n. 18092 del 2006; Sez. 6 n. 26149 del 2009), evidenzia il Collegio che, in sede di controllo della motivazione, " la Corte di Cassazione non deve (né può) stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento".
Applicati quindi i surriferiti principi in sede di verifica dell'apparato argomentativo della sentenza impugnata, non può che pervenirsi ad escludere qualsivoglia vizio motivazionale della sentenza impugnata. La Corte d'appello ha invero inteso sottolineare, in coerenza con le risultanze istruttorie dalla stessa congruamente apprezzate, che il sinistro si sarebbe verificato, con le gravi conseguenze descritte, a qualsiasi velocità avesse proceduto il motociclo sul quale era trasportata la vittima, essendosi palesato al conducente di esso il sopraggiungere dell'automobile antagonista con "una tale assurda repentinità da impedire a chiunque una qualsiasi manovra diversiva". Il omissis, invero, veduto attraversare l'incrocio dal omissis , alla guida del motoveicolo che lo precedeva, dal momento che il semaforo proiettava luce verde, si rappresentò consapevolmente e legittimamente il convincimento di poter anch'egli liberamente attraversare l'incrocio, confidando nella precedenza, in quel preciso momento, accordatagli dall'impianto semaforico. Né fu nelle condizioni di intuire il grave ed irreparabile pericolo che invece gli si sarebbe parato dinanzi pochi istanti dopo, visto che il dispositivo lampeggiante dell'autocivetta della Polizia Municipale non era, dalla sua direzione di marcia, tempestivamente visibile (a cagione di un edificio ubicato sull'angolo dell'intersezione delle strade dalle quali rispettivamente provenivano i due mezzi) e che non funzionava la sirena bitonale, omessa dall'imputato, per grave negligenza, ogni preventiva verifica dell'apposito apparato installato sull'automobile di servizio di cui era dotata, e pur tuttavia, non dissuaso dall'attraversare l'incrocio con "il rosso".
Né - come altresì ribadito dai Giudici di seconda istanza con apprezzamento di fatto adeguatamente motivato e quindi insindacabile in sede di legittimità -alcun elemento di prova era emerso a dimostrazione della circostanza che la vittima non indossasse regolarmente il casco al momento della collisione, avendo i testi riferito che il casco si era staccato dal capo della ragazza per effetto dell'impatto con il terreno e non all'atto dell'urto tra i veicoli.
Il secondo motivo è infondato.
Come già correttamente motivato dalla Corte d'appello, posto che l'imputato ha commesso - uno actu - due distinti reati: omicidio colposo e lesioni colpose gravi, entrambi aggravati dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, non poteva che trovare applicazione la fattispecie speciale di concorso formale prevista dall'art. 589, comma 3 cod. pen., di guisa che la pena determinata per la violazione più grave (ovviamente costituita dall'omicidio colposo punito con la sola pena della reclusione ) era suscettibile di un aumento fino al triplo con un massimo di anni quindici, giusta quanto stabilito dall'art. 589 cod. pen., nel testo di recente novellato dall'art. 1, comma 1 lett. c) n. 2 del D.L. 23 maggio 2008 n. 92 convertito, con modificazioni, nella L. 24 luglio 2008 n. 125. È peraltro assolutamente incontestabile che i principi di tipicità e tassatività del reato e della pena (dotati entrambi di copertura costituzionale) - oltreché il principio di specialità - militano ineludibilmente, nel caso di specie, per l'applicazione del disposto dell'art. 589, comma 3 cod. pen., a nulla rilevando le obiezioni in contrario sollevate dal ricorrente. Quanto all'interpretazione delle disposizioni dettate dall'art. 81 cod. pen. in materia di determinazione del trattamento sanzionatorio applicabile al reato continuato, esattamente equiparato a quello previsto per il concorso formale omogeneo od eterogeneo di reati per effetto delle modifiche introdotte dall'art. 8 del D.L. 11 aprile 1974 n.99 convertito in L. 7 giugno 1974 n.220, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di riaffermare, con orientamento da considerarsi prevalente e consolidato, che deve applicarsi la pena prevista per la violazione più grave, aumentata fino al triplo, indipendentemente dal fatto che i reati di minor gravità (ovvero i c.d. reati satellite, nel reato continuato) risultino puniti con pene di specie e di natura diversa (cfr. Sez. 6 n.2772/ 1995; Sez. 6 n. 11462/1997; Sez. 1 n.28514/2004; Sez. 1 n. 15986/2009).
Deve peraltro aggiungersi che le obiezioni di ordine formale dedotte dal ricorrente avevano già trovato esaustiva e condivisibile "risposta" nella motivazione della sentenza n. 5690 del 1981 delle Sezioni Unite secondo cui "il principio di legalità della pena (art. 1 cod. pen.),non è violato qualora venga applicata una pena non prevista o diversa da quella prevista dalla legge per un determinato reato. Deve, tuttavia precisarsi che la pena legale non attiene soltanto a quella comminata dalle singole fattispecie penali, sebbene a quella risultante dall'applicazione delle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio. Fra tali disposizioni, oltre quelle relative alle circostanze aggravanti o attenuanti, va ricompresa la normativa concernente il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 81 cod. pen. Ne segue che deve ritenersi legale la pena applicata ai sensi dell'art. 81 cod. pen.".
Hanno ancora più puntualmente statuito le Sezioni Unite che: "è incontestabile che la pena unica risultante dalla sanzione per il reato più grave aumentata fino al triplo per i reati meno gravi, ai sensi dell'art. 81 cod. pen., è perfettamente legale quali che siano le pene edittali previste per i singoli reati unificati "quoad poenam". Il vero è che nel caso di concorso di reati, previsto dall'art. 81 cod. pen., i reati meno gravi perdono la loro autonomia sanzionatoria, talché il relativo trattamento punitivo confluisce nella pena unica irrogata per tutti i reati concorrenti".
Siffatta interpretazione della norma,propugnata dalle Sezioni Unite, ha poi ricevuto l'avallo della Corte costituzionale che con sentenza n. 312 del 1988 (mutando il precedente contrario di cui alla sentenza n. 34 del 1977) ha dichiarato non fondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 81, comma 2 cod. pen. in relazione all'art. 3 della Costituzione sul rilievo della impossibilità di infliggere una pena unica "quando la continuazione si verifichi tra reati puniti con pene non omogenee", all'uopo motivando che "fin dal 1981 la giurisprudenza aveva ben chiarito che pena legale non è soltanto quella comminata dalle singole fattispecie penali. Lo è, infatti, anche quella risultante dall'applicazione delle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio; perciò, la pena unica progressiva, applicata come cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen., è pena legale essa pure perche preveduta dalla legge”.
A tali argomentazioni, tratte dalla citata pronunzia del Giudice delle leggi, può farsi diretto rinvio per dichiarare la manifesta infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, in subordine, in termini pressoché identici a quella oggetto della citata pronunzia,ferma in ogni caso la intrinseca ragionevolezza della scelta del legislatore insita nella previsione della speciale ipotesi di concorso formale tra reati di omicidio e di lesioni colpose, verosimilmente di più frequente applicazione, come dimostra l’esperienza giudiziaria,in materia di incidenti stradali cagionati dalla violazione della normativa in materia di circolazione stradale: fenomeno divenuto sempre più grave e pregiudizievole per l'incolumità degli utenti.
Deve quindi conclusivamente ribadirsi che la Corte d'appello di Firenze,ad onta delle infondate obiezioni del ricorrente, ha proceduto correttamente e legittimamente a determinare la pena unica per i reati di omicidio e di lesioni colpose - come ascritti all'imputato - ritenuto il concorso formale di cui all'art. 589, comma 3 cod. pen.; facendo luogo all'aumento della pena della reclusione, unicamente prevista per il primo reato, ritenuto più grave, sul rilievo della unificazione quoad poenam così recependo il consolidato, prevalente e risalante assunto della giurisprudenza di legittimità e di quella della Corte costituzionale, indipendentemente dal fatto che per i reati di minor gravità siano previste pene di specie e di natura diverse,quale quella della sola multa compresa tra Euro 258 ed Euro 2.582,di cui agli artt. 4 e 52 D.l.vo n. 274 del 2000, rientrando il reato previsto dall'art. 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen., nella competenza per materia del giudice di pace.
Infondato è altresì il terzo motivo.
Incensurabile appare la concorde determinazione di entrambi i Giudici di merito di individuare, ex art. 133 cod.pen., in conformità a condivisibili principi di congruità e proporzionalità rispetto all'"estrema gravità del fatto " ed al rilevante grado della colpa in cui versava l'imputato, attesa anche la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 cod. pen., contestata in fatto al prevenuto, la pena base di anni quattro di reclusione per il più grave reato di omicidio colposo previsto dall'art. 589, cpv. cod.pen. aggravato, e di applicare poi alla stessa l'aumento di UN anno di reclusione,contenuto entro il limite massimo di anno quindici, in osservanza del disposto dell'art. 589, comma 3 cod. pen..
Le stesse ineccepibili considerazioni hanno poi condotto la Corte d'appello ad escludere il riconoscimento all'imputato delle attenuanti generiche e dei benefici di legge sul rilievo della insussistenza di qualsivoglia profilo di meritevolezza enuclearle dalla condotta dello stesso.
Non appaiono altresì al Collegio condivisibili in linea di principio, le censure relative alla ritenuta sussistenza dell'aggravante comune prevista dall'art. 61 n. 9 cod. pen. (ampiamente illustrate con il secondo ricorso - rectius: motivi aggiunti - proposto dall'imputato).
La questione della compatibilità dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 cod. pen. in riferimento ai delitti di omicidio e di lesioni colpose è stata affermata da questa stessa Sezione, in linea di principio, con la sentenza n. 22614 del 2008 sul rilievo che la suddetta violazione non è elemento costitutivo, necessario di dette fattispecie. L'aggravante, nel caso di specie, è chiaramente integrata dalla violazione dei doveri di servizio di cui l'imputato si era reso responsabile. Come congruamente motivato in punto di fatto dalla Corte d'appello e dal Giudice di prime cure, il B. ha creduto di potersi giovare della "copertura" scriminante prevista dall'art. 177, commi 1 e 2 cod. strada ritenendo irresponsabilmente che ricorressero condizioni di urgenza a supporto dell'operazione di servizio volta a condurre in Questura per l'identificazione, una prostituta di nazionalità straniera, seduta sul sedile posteriore dell'automobile di servizio, tra due dei tre componenti la pattuglia di polizia municipale (e quindi nella fisica condizione di non nuocere e tantomeno di fuggire), di guisa da non poter risultare giustificata l'azione dell'imputato "dal tentativo di accesso da parte di quest'ultima alla propria borsetta" (quale situazione potenzialmente foriera di pregiudizi per l'incolumità della trasportata e degli agenti) attese le descritte condizioni in cui si trovava la donna a bordo dell'automobile. Con siffatta puntuale ed esaustiva motivazione - peraltro improntata ad indiscutibile razionalità logica - i Giudici di seconda istanza hanno quindi dato contezza dell'apprezzamento delle emergenze in punto di fatto cui erano pervenuti. Ciò posto, non possono che ritenersi inammissibili le censure diffusamente dedotte dai difensori con il secondo ricorso proposto (rectius: con i motivi aggiunti) con le quali, sub specie di un apparente violazione dell'art. 606, comma 1 lett. a) cod. proc. pen. (violazione di legge peraltro non specificamente dedotta con motivi d'appello, come disposto dall'art. 606 comma 3 cod. proc. pen.) essi intendono invero prospettare in sede di legittimità una non consentita rivisitazione ovvero una lettura "alternativa" delle risultanze di fatto in relazione all'apprezzamento - prettamente di fatto -delle condizioni di urgenza, esclusivamente rimesso alla discrezionalità dei giudici di merito.
In ordine alla quarta doglianza, osserva il Collegio che del tutto correttamente e legittimamente la Corte distrettuale ha ritenuto estesa anche alla patente di guida ordinaria rilasciata ex art. 116 cod. strada (e non solamente alla patente di servizio prevista dall'art. 139 cod. strada) la statuizione accessoria della sospensione per anni due, applicata all'imputato con la sentenza di primo grado, ex art. 222 commi 1 e 2 cod. strada, e confermata da quella d'appello. È del tutto pacifico che i reati commessi dal omissis quale conducente dell'automobile della polizia municipale rendevano necessariamente obbligatoria per il giudice penale l'irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida rilasciata all'imputato ex art. 116 cod. strada, ai sensi delle testé citate disposizioni. A norma dell'art. 7, comma 1 del Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 11 agosto 2004 n.246, alla sospensione della patente di guida ordinaria consegue, d'ufficio, la sospensione anche di quella di servizio nei confronti degli appartenenti a corpi ed ai servizi di polizia municipale (art. 12 comma 1 lett. e) cod. strada) essendo peraltro ovvia ed intuitiva la eadem ratio sottesa ad entrambe le disposizioni. Sussisterebbe stridente contrasto con le finalità preventive e repressive poste alla base della suddetta sanzione accessoria l'ipotizzata sospensione di un titolo abilitativo alla guida e non invece dell'altro (ove di entrambi fosse titolare il reo) tanto più che il possesso della patente c.d. ordinaria funge da presupposto per il rilascio di quella di servizio (art. 139, comma 1 cod. strada). Anche la patente rilasciata dall'autorità militare di cui all'art.138 cod. strada ( alternativa a quella di servizio: art. 139, ultimo comma stesso codice ) risulta, a determinate condizioni, convertibile senza esame, in quella ordinaria (art. 138 comma 5 cod. strada).
Il principio risulta comunque già affermato, in riferimento alla disciplina della sospensione della patente militare di cui all'art. 138 cod. strada, da questa stessa Sezione IV con la sentenza n. 2810 del 2000 secondo cui "L'art. 222 1 comma c.d.s. pone un principio di cui non può essere riconosciuta se non una valenza riguardante tutte le amministrazioni sia civili che militari purché sussistano i presupposti della infrazione da cui siano derivati danni alle persone. Se permane la giurisdizione ordinaria per reati colposi commessi da militare muniti di patente speciale non può che conseguirne anche la competenza per l'applicazione delle sanzioni accessorie; la conservazione di questa in capo all'autorità militare sarebbe priva di basi normative e di sostanziali ragioni giustificatrici. In tali casi infatti la competenza per l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie quali la sospensione della patente consegue incondizionatamente alla competenza giurisdizionale dipendente dall'accertamento del fatto reato; ciò per ragioni di unitarietà nell'accertamento del fatto e nella vantazione dei comportamenti".
Ciò posto, la disposizione dettata dall'art. 7, comma 3 del citato D.M. 11 agosto 2004 n. 246 - invocata dal ricorrente - ("La patente di servizio è altresì ritirata, sospesa o revocata in tutti i casi di violazione del decreto legislativo 30 aprile 1992 n0 285, commesse alla guida di veicoli di servizio, che comportino l'applicazione di tali tipologie di provvedimenti a carico del trasgressore, in tali casi detti provvedimenti non si applicano alla patente di guida rilasciata ai sensi dell'art. 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285") deve esser interpretata - atteso l'incipit del testo dell'art. 7 comma 3, che reca l'avverbio: "altresì" - in termini dell'applicazione a tutti gli altri casi - ulteriori e diversi rispetto a quelli previsti dal comma 1 del medesimo articolo - di violazioni di disposizioni del codice della strada che fungano da presupposto per l'irrogazione delle stesse sanzioni amministrative accessorie. In sintonia con tale interpretazione si pone anche la disposizione dettata dal comma 4 dell'art. 7 del citato D.M. ove si esclude l'estensione alla patente di servizio, della disciplina della c.d. patente a punti (art. 126 bis cod. strada) e si ribadisce (ai pari di quanto stabilito dal comma 3) che, in caso di violazioni al codice della strada che comportino la decurtazione di punti commesse alla guida di veicoli di servizio, da siffatto trattamento sanzionatorio speciale resta sottratta anche la patente c.d. ordinaria. Può in conclusione affermarsi, nell'ottica di un'interpretazione sistematica e della ratio che sottende la normativa di cui al D.M. 11 agosto 2004 n. 246 che, in linea di principio, in caso di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente di guida, disposte dal giudice penale ai sensi dell'art. 222, commi 1 e 2 cod. strada nelle fattispecie più gravi in cui, alle violazioni delle disposizioni del codice della strada, "derivino danni alle persone", queste colpiscono patente ordinaria e patente di servizio. Mentre in casi diversi (e meno gravi) di violazioni del codice della strada commesse alla guida di veicoli di servizio vige il diverso regime della non estensione delle suddette sanzioni amministrative accessorie alla patente ordinaria, pur restandone ferma l'applicabilità alla patente di servizio, pure insuscettibile dell'applicazione del disposto dell'art. 126 - bis cod. strada, egualmente inestensibile alla patente ordinaria in caso di decurtazioni dei punti per effetto di violazioni della norma commesse da titolare della patente di servizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna altresì gli stessi ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di questo giudizio in favore delle costituite parti civili.
(omissis)