Art. 186 c.d.s.: pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità

14.02.2015 11:02

Corte di Cassazione Penale

sez. IV 23 gennaio 2015 n. 3297
 

(Omissis)

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 10/3/2014 la Corte d'Appello di Torino, riducendo la pena inflitta, confermava nel resto la sentenza di primo grado che aveva ritenuto F. G. responsabile del reato di cui agli artt. 186 c. 7 C.d.S. Il giudice di primo grado aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dello stesso in relazione all'imputazione pure a lui originariamente ascritta di cui all'art. 186 c. 2 cod. str. per essere il fatto non più previsto dalla legge come reato. I giudici negavano all'imputato l'applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, deducendo, con unico motivo, violazione dell'art. 186 c. 9 bis c.d.s. per mancata sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.
Osserva che a seguito dell'assoluzione pronunciata in primo grado tale sostituzione doveva ritenersi consentita poiché nella citata disposizione non vi è alcun riferimento all'aggravante di cui al comma 2 bis. Chiede, in subordine, l'applicazione- dell'art. 168 bis c.p.

Considerato in diritto

Il ricorrente sostiene che la preclusione alla sostituzione della pena con il lavoro socialmente utile non si applica al caso del rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico: il comma 7 dell'art. 186 cit., secondo l'assunto, richiamerebbe il trattamento penale di cui al comma 2, lett. c), mentre l'aggravante di aver provocato un incidente estenderebbe la sua portata solo all'ipotesi di guida in stato d'ebbrezza.
L'assunto è manifestamente infondato in ragione del costante orientamento espresso da questa Corte di legittimità sul punto. E' stato affermato in proposito, infatti, che la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale è configurabile anche rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, in ragione del richiamo operato dall'art. 186, comma settimo, al comma secondo lett. c) del medesimo articolo, il quale, a sua volta, è richiamato dal comma secondo bis, disciplinante l'aggravante in oggetto (Sez. IV, n. 9318 del 14/11/2013, Rv. 258215). Di conseguenza, la sussistenza di una tale aggravante deve reputarsi preclusiva per l'accesso al lavoro di pubblica utilità (cfr. per tutte Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43845 del 26/09/2014 Rv. 260602: "La circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale, la cui sussistenza preclude all'imputato la possibilità di ottenere la sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità, è configurabile anche rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, in ragione del richiamo operato dall'art. 186, comma settimo, al comma secondo lett. c) del medesimo articolo, il quale, a sua volta, è richiamato dal comma secondo bis, disciplinante l'aggravante in oggetto"). Né vale invocare, in ragione dell'assoluzione intervenuta per il reato di guida in stato di ebbrezza, il venir meno dell'aggravante relativa al sinistro stradale, aggravante comunque contestata in fatto con riferimento a entrambe le originarie imputazioni.
Quanto alla richiesta di applicazione dei nuovo istituto di cui all'art. 168 bis c.p.p., si richiama Cass. Sez. F, Sentenza n. 35717 del 31/07/2014 Rv. 259935 "Nel giudizio di cassazione l'imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all'art. 168-bis cod. pen., nè può altrimenti sollecitare l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, per l'incompatibilità del nuovo istituto con il sistema delle impugnazioni e per la mancanza di una specifica disciplina transitoria. (In motivazione, la Corte ha anche evidenziato che la mancata applicazione della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova nei giudizi di impugnazione pendenti alla data della sua entrata in vigore, stante l'assenza di disposizioni transitorie, non determina alcuna lesione del principio di retroattività della "lex mitior").
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di ragioni di esonero, al versamento della sanzione pecuniaria ex art. 616 C.P.P.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

(Omissis)