PERMESSI LEGGE 104: SOLUZIONI PER CASI PARTICOLARI

12.09.2018 10:41

dott. Marco Massavelli

Commissario Polizia Locale Rivoli (TO)

 

La concreta applicazione, e la conseguente attività di controllo, delle disposizioni dell’articolo 33, legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di agevolazioni per l’assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, come è noto, ha sempre creato enormi difficoltà per i datori di lavoro, privati e pubblici. Tale situazione ha consentito, spesso, ai dipendenti di abusare di tale diritto, approfittando di una facile impunità.

In alcuni casi, sempre più frequenti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha tentato di mettere dei paletti, in relazione ai diritti previsti dalla legge 104/92, e, in casi estremi, è addirittura giunta a convalidare il licenziamento del dipendente che ne aveva esplicitamente abusato.

A fare chiarezza, in merito alla modalità di fruizione dei benefici in argomento, relativamente ai casi di particolari modalità organizzative dell’orario di lavoro, ora, è l’INPS, con il messaggio n. 3114, del 7 agosto 2018.

Come è noto, le disposizioni dell’INPS in tale materia sono applicabili anche ai dipendenti pubblici.

Innanzitutto, l’INPS chiarisce le modalità di fruizione dei giorni di permesso di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della legge n. 104/92 in corrispondenza di turni di lavoro articolati a cavallo di due giorni solari e/o durante giornate festive.

LEGGE 5 febbraio 1992, n. 104

Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate

Art. 33. (stralcio)
Agevolazioni
 
3. Successivamente  al  compimento  del  terzo  anno  di  vita  del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap  in  situazione  di  gravita', nonche' colui che assiste una persona con handicap in  situazione  di gravita', parente o affine entro il terzo  grado,  convivente,  hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche  in  maniera continuativa a condizione che la persona con handicap  in  situazione di gravita' non sia ricoverata a tempo pieno. 
 
6. La persona handicappata maggiorenne in  situazione  di  gravita' puo' usufruire dei permessi di cui ai commi  2  e  3,  ha  diritto  a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu'  vicina  al  proprio domicilio e non puo' essere trasferita in altra sede,  senza  il  suo consenso. 

 

 

TURNI E FESTIVI: SI HA DIRITTO AI PERMESSI?

 

Il lavoro a turni è una particolare modalità organizzativa dell’orario normale di lavoro scelto dall’azienda per una efficiente organizzazione dell’attività lavorativa.

L’articolo 1, decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, definisce il lavoro a turni come “qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo (impianti operativi che procedono per tutta la giornata e 7 giorni su 7) o discontinuo (impianti che non procedono 24 ore su 24), e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane”.

 

Per “lavoro a turni” si intende, quindi, ogni forma di organizzazione dell’orario di lavoro, diversa dal normale “lavoro giornaliero”, in cui l’orario operativo dell’azienda può andare a coprire l’intero arco delle 24 ore e la totalità dei giorni settimanali.

Per quanto riguarda gli enti locali, le turnazioni sono disciplinate dall’articolo 22, CCNL Integrativo del  14 settembre 2000 per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali.

In particolare, gli enti locali, in relazione alle proprie esigenze organizzative o di servizio funzionali, possono istituire turni giornalieri di lavoro. Il turno consiste in un’effettiva rotazione del personale in prestabilite articolazioni giornaliere.  Le prestazioni lavorative svolte in turnazione, ai fini della corresponsione della relativa indennità, devono essere distribuite nell’arco del mese in modo tale da far risultare una distribuzione equilibrata e avvicendata dei turni effettuati in orario antimeridiano, pomeridiano e, se previsto, notturno, in relazione alla articolazione adottata nell’ente. 
I turni diurni, antimeridiani e pomeridiani, possono essere attuati in strutture operative che prevedano un orario di servizio giornaliero di almeno 10 ore. 
I turni notturni non possono essere superiori a 10 nel mese, facendo comunque salve le eventuali esigenze eccezionali o quelle derivanti da calamità o eventi naturali. Per turno notturno si intende il periodo lavorativo ricompreso tra le 22 e le 6 del mattino. 
Al personale turnista è corrisposta una indennità che compensa interamente il disagio derivante dalla particolare articolazione dell’orario di lavoro. Tale indennità è corrisposta solo per i periodi di effettiva prestazione di servizio in turno.

Tale modalità organizzativa, pertanto, può comprendere anche il lavoro notturno e il lavoro prestato durante le giornate festive (compresa la domenica).

Al riguardo, si evidenzia che l’articolo 33, comma 3, legge n. 104/1992 prevede la fruizione dei permessi mensili retribuiti “a giornata”, indipendentemente, cioè, dall’articolazione della prestazione lavorativa nell’arco delle 24 ore o della settimana e dal numero di ore che il dipendente avrebbe dovuto concretamente effettuare nel giorno di interesse.

Ne deriva che il beneficio in argomento può essere fruito anche in corrispondenza di un turno di lavoro da effettuare nella giornata di domenica.

Lo stesso principio si applica anche al lavoro notturno.

Si precisa, infatti che, sebbene il lavoro notturno si svolga a cavallo di due giorni solari, la prestazione resta riferita ad un unico turno di lavoro in cui si articola l’organizzazione.

Ne consegue che il permesso fruito in corrispondenza dell’intero turno di lavoro va considerato pari ad un solo giorno di permesso anche nel caso in cui si articoli a cavallo di due giorni solari.

 

 

LAVORO PART TIME: COME CALCOLARE I 3 GIORNI DI PERMESSO

 

In relazione al rapporto di lavoro part-time, vi è da evidenziare la necessità di provvedere al riproporzionamento giornaliero dei permessi di cui all’articolo 33, commi 3 e 6,della legge n. 104/92.

Il decreto legislativo n. 81/2015, nel ridisegnare la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale, ha ribadito il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale prevedendo, per la generalità degli istituti facenti capo ai lavoratori dipendenti, che  “il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa” (articolo  7).

 

 

 

 

 

Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81

Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.

 

Art. 5. Forma e contenuti del contratto di lavoro a tempo parziale

1. Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova.

2. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.

3. Quando l'organizzazione del lavoro è articolata in turni, l'indicazione di cui al comma 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite.

 

Art. 6. Lavoro supplementare, lavoro straordinario, clausole elastiche

1. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere, entro i limiti dell'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003, lo svolgimento di prestazioni supplementari, intendendosi per tali quelle svolte oltre l'orario concordato fra le parti ai sensi dell'articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi.

2. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non disciplini il lavoro supplementare, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura nonsuperiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove

giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. Il lavoro supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

3. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario, così come definito dall'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 66 del 2003.

4. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata.

5. Nei casi di cui al comma 4, il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi, fatte salve le diverse intese tra le parti, nonché a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme determinate dai contratti collettivi.

6. Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto non disciplini le clausole elastiche queste possono essere pattuite per iscritto dalle parti avanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Le clausole elastiche prevedono, a pena di nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di due giorni lavorativi, può modificare la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata, nonché la misura massima dell'aumento, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale. Le modifiche dell'orario di cui al secondo periodo comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell'incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.

7. Al lavoratore che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 8, commi da 3 a 5, ovvero in quelle di cui all'articolo 10, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è riconosciuta la facoltà di revocare il consenso prestato alla clausola elastica.

8. Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell'orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

 

Art. 7. Trattamento del lavoratore a tempo parziale

1. Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento.

2. Il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova, del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio in relazione all'articolazione dell'orario di lavoro.

 

Art. 8. Trasformazione del rapporto

1. Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.

2. Su accordo delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale.

3. I lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno.

4. In caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o della lavoratrice, nonché nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice assista una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio

1992, n. 104, che abbia necessità di assistenza continua in quanto non ingrado di compiere gli atti quotidiani della vita, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

5. In caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992, è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

6. Il lavoratore il cui rapporto sia trasformato da tempo pieno in tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.

7. Il lavoratore può chiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale od entro i limiti del congedo ancora spettante ai sensi del Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché con una riduzione d'orario non superiore al 50 per cento. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta.

8. In caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell'impresa, ed a prendere in considerazione le domande di trasformazione a tempo parziale dei rapporti dei dipendenti a tempo pieno.

 

 

Art. 9. Criteri di computo dei lavoratori a tempo parziale

1. Ai fini della applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, i lavoratori a tempo parziale sono computati in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno. A tal fine, l'arrotondamento opera per le frazioni di orario che eccedono la somma degli orari a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno.

 

Art. 10. Sanzioni

1. In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente

rese.

2. Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia. Qualora l'omissione riguardi la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a

un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.

3. Lo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi comporta il diritto del lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, a un'ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.

 

Art. 11. Disciplina previdenziale

1. La retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero di cui all'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e

dividendo l'importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno.

2. Gli assegni per il nucleo familiare spettano ai lavoratori a tempo parziale per l'intera misura settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale di durata non inferiore al minimo di ventiquattro ore. A tal fine sono cumulate le ore prestate in diversi rapporti di lavoro. In caso contrario spettano tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata. Qualora non si possa individuare l'attività principale per gli effetti dell'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni, gli assegni per il nucleo familiare sono corrisposti direttamente dall'INPS.

3. La retribuzione dei lavoratori a tempo parziale, a valere ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è uguale alla retribuzione tabellare prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno. La retribuzione tabellare è determinata su base oraria in relazione alla durata normale annua della prestazione di lavoro espressa in ore. La retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo dei premi per l'assicurazione di cui al presente comma è stabilita con le modalità di cui al comma 1.

4. Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l'anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all'orario effettivamente svolto, l'anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale.

 

Art. 12. Lavoro a tempo parziale nelle amministrazioni pubbliche

1. Ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le disposizioni della presente sezione si applicano, ove non diversamente disposto, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, con esclusione di quelle contenute negli articoli 6, commi 2 e 6, e 10, e, comunque, fermo restando quanto previsto da disposizioni speciali in

materia.

 

Per quanto qui di interesse, lo stesso decreto legislativo n. 81/2015, inoltre, ha introdotto la possibilità di pattuire, nell’ambito dei contratti di lavoro part-time, specifiche clausole elastiche, rendendo più flessibile la collocazione temporale e la durata della prestazione lavorativa (articolo 6).

Alla luce dell’attuale contesto normativo, si fornisce, di seguito, la formula di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei 3 giorni di permesso mensile ai casi di part-time verticale e part-time misto con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese:

 

orario medio settimanale teoricamente eseguibile dal lavoratore part-time

--------------------------------------------------- x 3 (giorni di permesso teorici)

orario medio settimanale teoricamente eseguibile a tempo pieno

 

Il risultato numerico andrà quindi arrotondato all’unità inferiore o a quella superiore a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.

 

A titolo esemplificativo si riportano i seguenti due esempi.

 

Esempio 1)

Lavoratore in part-time con orario medio settimanale pari a 18 ore presso un’azienda che applica un orario di lavoro medio settimanale a tempo pieno pari a 38 ore.

Applicando la formula sopra enunciata, il calcolo sarà il seguente:

(18/38) X 3= 1,42 che arrotondato all’unità inferiore, in quanto frazione inferiore allo 0,50, dà diritto a 1 giorno di permesso mensile.

 

Esempio 2)

Lavoratore in part-time con orario medio settimanale pari a 22 ore presso un’azienda che applica un orario di lavoro medio settimanale a tempo pieno pari a 40 ore.

Applicando la formula sopra enunciata il calcolo sarà il seguente:

(22/40) X 3=1,65 che arrotondato all’unità superiore, in quanto frazione superiore allo 0,50, dà diritto a 2 giorni di permesso mensili.

 

I tre giorni di permesso non andranno riproporzionati, invece, in caso di part-time orizzontale.

Relativamente a tali fattispecie, infatti, la commisurazione dei giorni di permesso alla ridotta durata dell’attività lavorativa è insita nella dinamica del rapporto medesimo.

Il riproporzionamento andrà effettuato solo in caso di part-time verticale e part-time misto con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese.

Il riproporzionamento dei tre giorni, infatti, non andrà effettuato per i mesi in cui, nell’ambito del rapporto di lavoro part time, è previsto lo svolgimento di attività lavorativa a tempo pieno.

 

CUMULO TRA CONGEDO STRAORDINARIO E PERMESSI 104

Il messaggio dell’INPS, infine, si occupa anche del cumulo tra il congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151/2001 ed i permessi di cui all’articolo 33 della legge n. 104/92 e all’art 33, comma 1, del decreto legislativo n. 151/2001.

Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151

Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53

 

Art. 33 (stralcio)

Prolungamento del congedo

1. Per ogni minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di cui all'articolo 32, non superiore a tre anni, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.

 

Art. 42 (stralcio)
Riposi e permessi per i figli con handicap grave
     
5.  La  lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo  la  loro  scomparsa,  uno  dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto  con  handicap in situazione di gravita' di cui all'articolo
3,  comma  3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell'articolo  4, comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e  che  abbiano  titolo a fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi  1,  2  e  3, della medesima legge per l'assistenza del figlio, hanno  diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'articolo 4 della  legge  8  marzo  2000,  n.  53,  entro  sessanta  giorni dalla richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire  un'indennita'  corrispondente all'ultima retribuzione e il periodo medesimo e' coperto da contribuzione figurativa; l'indennita' e  la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo  di  lire  70 milioni annue per il congedo di durata annuale. Detto  importo e' rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2002, sulla  base  della variazione dell'indice Istat dei prezzi al consumo per  le  famiglie  di operai e impiegati. L'indennita' e' corrisposta dal   datore   di   lavoro  secondo  le  modalita'  previste  per  la corresponsione  dei  trattamenti economici di maternita'. I datori di lavoro  privati,  nella  denuncia  contributiva, detraggono l'importo dell'indennita'  dall'ammontare  dei  contributi previdenziali dovuti all'ente  previdenziale  competente.  Per  i  dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non e' prevista l'assicurazione per le prestazioni di maternita', l'indennita' di cui al presente comma e' corrisposta con le modalita' di cui all'articolo 1  del  decreto-legge  30  dicembre  1979,  n.  663,  convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Il congedo fruito ai  sensi  del presente comma alternativamente da entrambi i genitori non  puo'  superare  la  durata  complessiva  di due anni; durante il periodo  di  congedo  entrambi  i  genitori  non  possono  fruire dei
benefici  di cui all'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fatte  salve  le  disposizioni  di  cui  ai  commi 5 e 6 del medesimo articolo.

 

 

Come già evidenziato nella circolare n. 53/2008, è possibile cumulare nello stesso mese, purché in giornate diverse, i periodi di congedo straordinario exarticolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151/2001 con i permessi ex articolo 33 della legge n. 104/92 ed ex articolo 33, comma 1, del decreto legislativo n. 151/2001 (3 giorni di permesso mensili, prolungamento del congedo parentale e ore di riposo alternative al prolungamento del congedo parentale).

Si precisa, al riguardo, che i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge n. 104/92 senza necessità di ripresa dell’attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici.

La fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale e delle ore di riposo alternative al prolungamento del congedo parentale stesso deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese (cfr. circolare n. 155/2010, par. 2.2).

 

GENITORI E FIGLI GRAVEMENTE DISABILI

La citata circolare INPS del 2010 si riferisce all’articolo 24, legge 4 novembre 2010, n. 183, concernente “Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità”.

In particolare, il paragrafo 2.2. riguarda i genitori che assistono figli in situazione di disabilità grave. La legge n. 183/2010, ha dato rilievo alla particolarità del rapporto genitoriale dettando specifiche norme per i genitori che assistono un figlio in situazione di disabilità grave. In base a tale disciplina, in particolare,i tre giorni di permesso mensili possono essere fruiti anche dai genitori di un minore di tre anni in situazione di disabilitàgrave.

Questa soluzione consegue alla lettura del combinato disposto dei riformulati articolo 33, comma 3, della legge n. 104/92 e articolo 42, comma 2, del decreto legislativo n. 151/2001.

La novella ha eliminato dal testo del previgente comma 3 dell’articolo 33 della legge n. 104 del 1992 le parole “Successivamente al compimento del terzo anno di età del disabile”.

Il suddetto inciso risulta, invece, tuttora presente nel riformulato articolo 42, comma 2, del decreto legislativo n. 151/2001.

Va tenuto conto, tuttavia, del fatto che anche i genitoridi un bambino di età inferiore a tre anni sono comunque compresi nella categoria dei parenti legittimati in base al primo periodo del comma 3 dell’articolo 33 della legge 104/92.

L'esclusione del beneficio in questione – finalizzato ad alleviare la situazione di bisogno di bambini gravemente disabili – proprio nei riguardi dei genitori, porrebbe in essere una ingiustificata disparità di trattamento tra i soggetti che sono costituzionalmente tenuti a svolgere un ruolo primario nella loro assistenzae il resto dei parenti o affini.

Ne consegue che in un’ottica di ragionevolezza, il diritto ai tre giorni di permesso deve essere riconosciuto anche in favore dei genitori di bambini al di sotto dei tre anni previsto, altresì, espressamente all’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo n. 151/2001 in favore dei genitori di figli con età superiore a tre anni.

Resta inalterato il diritto dei genitori del disabile in situazione di gravità minore di tre anni di poter fruire, in alternativa a tale beneficio, del prolungamento indennizzato del congedo parentale o dei riposi orari retribuiti (articolo 42, comma 1, decreto legislativo n. 151/2001).

A tale proposito, è opportuno evidenziare che, mentre i benefici appena menzionati (prolungamento del periodo di congedo parentale e le due ore di riposogiornaliero retribuito), possono essere utilizzati a partire dalla conclusione del periodo di normale congedo parentale teoricamente fruibile dal genitore richiedente i tre giorni di permesso(comma 3, articolo 33, legge 104/92) possono essere goduti, da parte dei genitori o da parte degli altri familiari, dal giorno del riconoscimento della situazione di disabilità grave.

Si sottolinea inoltre, che, trattandosi di istituti speciali rispondenti alle medesime finalità di assistenza al disabile in situazione di gravità, la fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale e delle ore di riposo deve intendersi alternativa e non cumulativa nell’arco del mese.

Pertanto, nel mese in cui uno o entrambi i genitori, anche alternativamente, abbiano beneficiato di uno o più giorni di permesso ai sensi dell’articolo 33, comma 3 citato, gli stessi non potranno usufruire per lo stesso figlio delle due ore di riposo giornaliero o del prolungamento del congedo parentale.

Allo stesso modo, nel mese in cui uno o entrambi i genitori abbiano fruito, anche alternativamente, del prolungamento del congedo parentale o delle due ore di riposo giornaliero, gli altri parenti o affini aventi diritto non potranno beneficiare per lo stesso soggetto in situazione di disabilità grave dei giorni di permesso mensili.